Una riflessione a due anni dalla chiusura dei villaggi di Via del Poderaccio

Sopra una delle due colline che ospitavano i villaggi resiste ancora tra detriti e cespugli un groviglio di erbacce che un tempo era stato un curatissimo orto. Da quando sei anni fa circa l’uomo di pace, un mediatore di conflitti lo definirebbe la società maggioritaria, che lo aveva coltivato è deceduto, nessuno lo ha più non solo accudito ma nemmeno toccato. Parliamo di uno spazio sottratto alla realtà della società maggioritaria per tenere viva la memoria di un defunto, di un luogo romanes comunitariamente intoccabile, visibile solo a chi a occhi per vederlo.

Uno spazio che può apparire ai più così astruso, insignificante tanto da non essere stato individuato neanche dai tecnici e dagli operai del Comune che hanno proceduto all’abbattimento delle casette prefabbricate, di cui si componeva il villaggio, conclusosi nell’ agosto del 2020. Fino a quando le due colline non saranno bonificate mi piace pensare che questo luogo civilizzato al modo dei rom continui a prosperare anche in memoria di tutti quanti hanno vissuto prima nei campi e poi nei villaggi di Via del Poderaccio. Realtà marginalizzanti, separate dal sistema città nate, come i campi di altre città italiane, da un pensiero comune frutto di una sinonimia errata: rom e sinti = nomadi. Realtà in cui gli abitanti hanno dovuto nel tempo, quotidianamente, attimo per attimo, creare e ricreare senso per non perdersi all’interno di una sacca costituita da separazione, non riconoscimento culturale, inadeguatezza socio-abitativa, pericolo per l’incolumità e la salute individuale e comunitaria, vicinanza a sistemi devianti che, spesso indisturbati, fanno di questi contesti le loro fiorenti e contaminanti basi.

La storica francese Henriette Asseo ha definito i rom come un popolo resistenza. Per noi non rom è difficile comprendere la capacità di resistenza di una minoranza all’interno di un rapporto di forza così sbilanciato, con la maggioranza che la circonda. Se pur difficile ritengo che chiunque abbia cari i concetti di uguaglianza e di giustizia dovrebbe tentare di farlo, anche solo per dare ragione alle potenzialità di analisi e di comprensione insite per ognuno nel proprio intelletto. 

Gilberto Scali