La persecuzione di Rom e Sinti sotto i regimi nazifascisti

Porrajmos

“Porrajmos” in lingua romanì (“il grande divoramento”) e “Samudaripen” (“tutti uccisi”), ovvero il genocidio delle popolazioni zigane d’Europa tra il 1939 e il 1945, la persecuzione di Rom e Sinti sotto i regimi nazifascisti.

Portò alla morte di un numero di persone che la maggior parte degli studiosi identifica tra le 200 e le 500 mila.

Le modalità delle stragi, compiute sia nei lager sia in maniera massiccia nel corso di esecuzioni di massa perpetrate a margine delle operazioni di guerra, rendono infatti particolarmente difficile quantificare il numero esatto delle vittime.

L’assenza di numeri certi non può però in alcun modo nascondere la realtà:

quello che i nazisti compirono fu un vero e proprio sterminio di queste popolazioni.

Il genocidio si inserisce in un secolare contesto di discriminazioni delle quali furono vittime queste popolazioni in Europa.

Nello specifico, già dai primi anni del Novecento in Germania si susseguirono atti formali per il loro controllo e separazione dal resto della popolazione “ariana”, che unirono ai pretesti di ordine securitario le nuove teorie del razzismo biologico.

Con l’avvento del nazismo, la “questione zingara” divenne subito oggetto della politica razziale: nel corso degli anni si susseguirono schedature, sterilizzazioni forzate e incarcerazioni.

Questi atti, a differenza dei molti altri che da secoli erano stati presi contro rom e sinti, furono però ora il preambolo di una persecuzione che non ebbe eguali nella storia.

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